«Raffigurarsi la sfinge come un leone con testa di donna fu, un tempo, un fatto poetico. Penso che una vera mitologia moderna sia in formazione. È a Giorgio de Chirico che spetta di fissarne imperituramente il ricordo».
A. Bréton 1922.
Dall’inizio del XX secolo l’uomo “moderno” ha consegnato il mistero, il mito l’enigma delle cose, alla scienza e alla tecnologia. Il rombo della macchina, già osannato dai futuristi come “migliore della Nike di Samotracia”, si è evoluto coi decenni fino a diventare la voce di quei robottoni dell’animazione giapponese che, a partire soprattutto dagli anni ‘70, hanno raccontato l’idea di futuro a intere generazioni di bambini, donne e uomini di mezza età di oggi, cresciuti seguendo le avventure di quei Tálōs d’acciaio, che tra pugni rotanti e raggi fotonici hanno descritto un’ipotesi di futuro incarnando miti del passato, dalla tragedia classica, alla grande avventura dei romanzi di formazione. Bambini di allora sono diventati gli adulti che oggi, di fronte all’evoluzione della scienza e della tecnologia, non possono prescindere da quei modelli che, anche soltanto a livello inconscio o di ricordi confusi, continuano a essere presenti.
La tecnologia del XXI secolo è sempre meno visibile, dall’enigma delle cose si è passati all’internet delle cose: elettrodomestici che comunicano tra loro, automobili che guidano da sole e, a differenza di quegli eroi dell’infanzia, gli uomini di oggi rischiano di non essere più piloti ma fruitori e passeggeri di un’ evoluzione tecnologica che rischia di perdere un senso, di lasciare l’essere umano come un manichino delle “Muse inquietanti” di de Chirico, abitante di piazze silenziose e mute, dove al fascino della metafisica si sostituisce l’incomunicabilità di una realtà sempre più mediata dal gadget tecnologico, dove, per citare il grande P.K. Dick, all’essere umano non resta che sognare pecore elettriche.